Iraq, soli e cresciuti nell’odio: i bimbi dell’Isis da salvare da un futuro di morte. «Indottrinati fin da piccoli»

Viaggio in Iraq dove i volontari si prendono cura dei figli dei miliziani uccisi o in prigione: «Sono stati indottrinati fin da piccoli, ma ora sanno che c’è una strada diversa»

Iraq, soli e cresciuti nell’odio, i bimbi dell’Isis da salvare da un futuro di morte
di Nicola Pinna, nostro inviato in Iraq
6 Minuti di Lettura
Lunedì 13 Maggio 2024, 07:32 - Ultimo aggiornamento: 15:21

ERBIL (IRAQ) Le caramelle sì, li fanno felici come tutti i bambini del mondo. Ma Aaminah e i suoi venticinque amichetti hanno più bisogno di conoscere e parlare con persone nuove. Di sapere i nomi di questi sconosciuti che rispetto al mondo che loro hanno sempre vissuto, conosciuto e forse odiato, sembrano arrivare davvero da lontanissimo. Vogliono solo guardarli liberamente negli occhi, farsi accarezzare e godersi i loro sorrisi. I cioccolatini, globalmente adatti a rompere le diffidenze dei più piccoli e a rendere quasi sempre facili i primi dialoghi, qualcuno stavolta li mette in tasca con disinteresse. E in un attimo li dimentica. I doni arrivati dall’Italia fanno piacere ma non sono essenziali. Più importante, stavolta, è conoscere da dove sono planati e che vita hanno fatto questi ospiti senza armi in mano. C’è un altro pianeta, rispetto a quello fatto di odio, spari, privazioni e morte, nel quale questa allegra combriccola di ragazzini ha fatto i conti fin dal primo giorno di vita. I figli dell’Isis oggi familiarizzano con la pace, con le donne senza il velo e libere persino di parlare senza chiedere il permesso. È una vita che non c’era, per questi bambini che escono dal tunnel delle bandiere nere, dalla fogna puzzolente del terrore trasformato in filosofia di vita. «Scusa, posso chiedere il tuo nome?», dice Amira: «Ma questi militari che ci hanno portato quaderni e vestiti nuovi per noi sono combattenti?».

 

Iraq, nella culla del Califfato: «Qui l’Isis rialza la testa». La minaccia delle cellule silenti

LA VITA NUOVA

No, sono pionieri di pace e qui in Iraq addestrano i soldati peshmerga che il ritorno dell’Isis dovranno riuscire da soli a evitarlo.

Non solo, per scongiurare un’altra guerra, o impedire che quella in corso si infiammi ancora, i militari col tricolore sulla spalla fanno anche molto altro. Il capitano Teresa D’Amico è la responsabile del team Cimic, il gruppo che intesse i rapporti con chi vive nella periferia cittadina e nei villaggi. È la portavoce del sorriso per conto della missione italiana “Prima Parthica”. I soldati delle buone azioni, che raccolgono richieste di aiuto e creano rapporti di collaborazione con chi, tra Erbil e i villaggi del Kurdistan liberato da Daesh, vive e fa ancora i conti con l’incubo sempre forte dello stato più sanguinario dell’ultimo secolo. Dei bambini orfani, figli di combattenti che hanno dato la vita per la causa jihadista o di chi dei terroristi era nemico da eliminare, si occupa ogni giorno la Barzani charity foundation. E Stav Aso è da anni in prima linea per creare una seconda vita, senza progetti stragisti, a tutti questi bambini.

PICCOLI SENZA IDENTITÀ

Vivi, per fortuna, ma pur sempre vittime di quello stato islamico sconfitto e non ancora cancellato. «Per aiutare i ragazzi a cui l’Isis ha rovinato l’infanzia, operiamo in tre campi profughi, perché le famiglie che prima vivevano nelle città conquistate dai terroristi ora non hanno più una casa. Molti dei 700 bambini hanno parenti che ancora combattono chissà dove. Nessuno di loro ha i documenti: sono rinnegati da tutti. E nessuno ha intenzione di riconoscerli. Le persone che dovrebbero crescerli ci dicono «sono nati durante il conflitto con l’Isis, non sono nostri». Ma noi ovviamente ci occupiamo anche di loro: diamo assistenza legale e ogni tanto riusciamo a darli in affido a una famiglia volenterosa. Soprattutto li facciamo giocare. Non possiamo incolparli per ciò che hanno fatto i loro padri e le loro madri. E anzi, a quelli che hanno perso sia la madre che il padre abbiamo creato un progetto specifico con un’organizzazione tedesca e ogni mese ricevono 150 dollari per soddisfare una parte dei loro bisogni».

I MILIZIANI DEL FUTURO

Cancellato il califfato, resta forte (e diffusa) l’idea della guerra islamista. La propaganda passa dai social ma non solo. E proprio gli adolescenti che hanno visto sangue e orrore sognano spesso un futuro da combattenti. «Quando nascono senza identità e crescono senza un’educazione e un’istruzione, cosa ti aspetti? - si chiede Stav Aso - Dobbiamo fare in modo che abbiano un futuro migliore dei padri, delle madri o dei fratelli. Qualche mese fa c’è stato un incontro con un gruppo di famiglie collegate all’Isis e a una madre abbiamo chiesto cosa stesse facendo per il futuro dei suoi bambini. Ci ha detto che suo marito aveva 4 mogli, lei era la prima, e aveva 5 figli, e che li aveva cresciuti con la stessa ideologia del marito. Questi giovani hanno un urgente bisogno che qualcuno si prenda cura di loro. Sì, dico urgente. Oppure non ci si può aspettare un futuro migliore per loro, di conseguenza neanche per noi». La chiusura dei campi profughi è lo spettro più vicino per i reclutamenti e l’allargamento dell’ideologia. Perché le cellule silenti, e ancora senza collegamenti o gerarchie, sono il laboratorio del nuovo terrorismo. Stav Aso e il team della Barzani Foundation dunque lavorano non solo sul presente. E per questo la rete salva-bambini è tra i nemici di chi sogna la rinascita del califfato. «Ogni anno il governo minaccia di chiudere i campi. Noi in teoria siamo d’accordo, perché questa gente ha bisogno di vivere in una casa e non in una tenda. Ma prima bisogna fare in modo che le loro necessità primarie siano assicurate. In quelle strutture, dove in tanti sono rinchiusi da otto anni, non c’è riscaldamento e non c’è acqua pulita a sufficienza per tutti. Le persone hanno cibo e ogni giorno salta fuori un problema nuovo a cui si mette una pezza fino a che se ne presenta un altro. Noi aiutiamo in ogni modo ma è il governo iracheno che dovrebbe occuparsene: al momento non abbiamo visto nessuna azione in questo senso».

IL FUTURO

Nei villaggi che le truppe di al-Baghdadi hanno devastato e quasi raso al suolo non è rimasto altro che i fori dei proiettili e l’ombra della morte. «Noi seguiamo circa 100 famiglie che vorrebbero tornare nel loro paese, ma tutte temono ancora l’Isis - racconta ancora Stav Aso - Appartengono a 12 gruppi diversi e il rischio principale è quello delle vendette. Anche il passaggio nelle strade può essere una terribile trappola. Il governo dovrebbe fornire protezione durante lo spostamento, una via di fuga sicura, segreta e protetta, ma non lo fa. Fino ad ora solo pochissime persone sono riuscite, gli altri sono sempre in attesa di azioni da parte del governo iracheno. Anche le organizzazioni internazionali sono andate via». Vita ai margini ed educazione che ricalca gli ideali del jihad sono il mix perfetto per creare i terroristi del futuro. Del futuro prossimo. «I genitori dei ragazzi che assistiamo o i mariti di molte donne che possono contare solo sul nostro aiuto sono ancora nelle carceri perché direttamente collegati all’Isis. Questo ovviamente rende tutto più complesso. Le famiglie dimezzate che vogliono tornare nei loro luoghi d’origine devono prima passare per i controlli delle autorità portuali, farsi registrare e prendere le distanze dai loro mariti combattenti. Devono insomma ripudiarli. E solo così possono partire. Chi può avere il coraggio di farlo? Questa è la realtà che viviamo e vediamo tutti i giorni. Sottolineo: la realtà».

© RIPRODUZIONE RISERVATA